Quando alle Hinds hanno intimato di cambiare il loro nome originario, Deers, non ci hanno pensato un attimo, nessuna resistenza. Hanno scelto Hinds, la femmina del cervo (Deers), appunto. In quella circostanza erano, probabilmente intente ad ascoltare il primo album delle Raincoats, quello stupendo, prima dei trip di avanguardismo canterburyano e probabilmente non avranno voluto correre il rischio di essere distolte da quella importante attività.
Le quattro graziose ragazze, provenienti da Madrid, l’hanno imparata bene la lezione e, supportate da una massiccia dose di creatività, hanno realizzato una dozzina di canzoni fresche e frizzanti come la primissima aria mattutina, quella che si può assaporare quando ancora i veicoli a motore non hanno iniziato le loro follie. Il secondo punto focale della loro arte sono senza dubbio i Young Marble Giants, le cui influenze sono piuttosto evidenti in “Solar”, ma anche in tutto il resto dell’album.
Tali riferimenti sonori, regalmente inavvicinabili, sono comunque stemperati da un’attitudine slackness tipicamente californiana e forse anche dal calore della natia Spagna, ma per ascoltare qualche ritmo sghembo e le tanto attese dissonanze, è necessario attendere il brano “Bamboo” che è uscito come singolo prima dell’album contribuendo ad innalzare la febbre per l’album di debutto che è stato molto, molto hypezzato tanto che pareva non si aspettasse altro.
“San Diego” mostra cerchi concentrici di jangle sound innervando le deliziosi armonie vocali in delicati grappoli di elettricità lamentosa. “Castigadas En El Granero” è probabilmente il brano più animato dell’album che per il resto si traduce in una quiete indagine sui “vari volti dell’amore che abbiamo vissuto nel corso della scrittura del disco”. Il testo è particolarmente surreale con le nostre che cantano “All I see is a big cow / And now I’m eating all your corn.”
“Leave Me Alone” è un album molto bello e pieno di charme, sulle contraddizioni del genere umano, che ha come dichiarazione programmatica la richiesta di essere lasciate sole, ma si affretta a suggerire il contrario in quasi tutte le dodici tracce.
Tutte le canzoni sono cantate da Carlotta Cosials e Ana Garcia Perrote e gli impasti vocali sono meravigliosi. Cosials passa con indifferenza, quasi con la disinvoltura delle grandi interpreti, da timbri arroccati a vezzeggianti vellutati e molto spesso quando una canta, l’altra enfatizza, ma i momenti migliori sono forse quelle in cui entrambe cantano la stessa traccia.
In realtà le influenze dichiarate delle Hinds sono artisti moderni come Ty Segall e Mac DeMarco, che è difficile percepire in questo esordio tanto da pensare quasi che allora l’eredità Raincoats, Young Marble Giant, ma anche i sapori Velvet Underground e C-86 che si ascoltano a profusione siano ormai quasi marcatori genetici, forse influenza atavica per gran parte dei musicisti moderni.