The High Dials – In the A.M. Wilds (Fontana North/Universal, February 03, 2015)

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The High Dials – In the A.M. Wilds (Fontana North/Universal, February 03, 2015)

Che cosa significa avere una qualche influenza oggi nel mondo della musica? A torto oppure a ragione, si ritiene in via generale che non ci sia più nulla dove sarebbe stata oltrepassata ogni frontiera possibile e dove anzi la nuova sperimentazione appare molto meno affascinante che quella del periodo dell’analogico.

Una valutazione che secondo me lascia il tempo che trova. Un mucchio di gente della mia generazione, per dire, va matta per gli Oasis e questi sono nominati e considerati un punto di riferimento da un mucchio di band e artisti che oggi sono sulla cresta dell’onda. Per non dire degli Strokes, cui bastò praticamente un solo disco per scatenare una piccola rivoluzione. Certo, entrambe le band guardavano a sonorità di band del passato e non si erano ‘inventate’ nulla di nuovo. Ma che vuol dire? Lo stesso Andy Warhol in fondo non faceva altro che utilizzare vecchie idee e che reinterpretrava a suo modo. Forse l’originalità non sta tanto nel contenuto, ma in come questa viene proposta. I pubblicitari e i mass-media poi, è evidente, fanno il resto.

Le sonorità proposte dagli High Dials del resto non sono sicuramente qualche cosa di nuovo. Ascoltando ‘In the A.M. Wilds’, l’ultimo disco della band canadese (Fontana North/Universal), riconosciamo quello che è il sound tipico shoegaze tipo Deerhunter  (‘Impossible Things’, ‘Amateur Astronomer’), la band di Atlanta capitanata da Bradford Cox e con cui sono riconoscibili affinità anche per quello che riguarda una certa attitudine garage.

Del resto parliamo di una band che è sulle scene dal 2003 e che ottiene ora il giusto riconoscimento dopo un lungo percorso sotterraneo e che mescola comunque quelle che sono diverse sonorità. Il riff di apertura di ‘On Again, Off Again’ rimanda immediatamente a quello di ‘Just Like Heaven’ dei Cure, mentre ‘Yestergraves’ ha qualche cosa che ricorda i Killing Joke. Considerazioni che fanno sì questo disco possa piacere sicuramente a quelli nostalgici di un certo sound wave degli anni ottanta.

È un disco per chi ama perdersi nei ricordi e un disco per sognatori. Un disco per cuori solitari e per chi spera di incontrare l’amore e chi invece lo ha appena perso. È un disco ben registrato (il disco è prodotto da Marc Bell – We Are Wolves, the Fugees) che può benissimo piacere anche a chi non sia per forza appassionato del genere, ma dove manca a mio parere quella spinta e quella voglia di eccedere, di andare oltre le righe e rompere gli schemi. È tutto molto fluido in definitiva. Forse troppo.

@sotomayor

Pubblicato da Emiliano D'Aniello

'Who killed Jesus? It wasn’t the Pharisees, or the crowd. Who was it?'

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