
“There’s a song playing on the radio…”
Soffermatevi a pensare per un attimo all’attacco di “The Wild Ones”. Frenate l’istinto di abbracciare la prima cosa/persona/memoria che vi venga a tiro e, soprattutto, non alzate l’accendino verso il cielo ma utilizzatelo per accendere una sigaretta. Ora, soffermatevi a pensare all’attacco di “The Wild Ones” oltre quell’attimo e vi sfido a non deprimervi. “Se resti..se resti…Se…”. Con “Night Thoughts” si riprende da questo punto. Tutta l’epica delle battaglie perse dall’illusione a vantaggio delle spietate disillusioni, tutto il compendio di quei momenti sangue e sudore in cui hai già perso, sei morto, la vita ti ha fregato ma vai avanti sui binari in disuso di un intento fallace, ormai giunto agli ultimi bip di elettrocardiogramma, ebbene tutto questo ritorna coperto da una patima brumosa di paranoie pienamente giustificate dall’andazzo fraudolento dell’ordinario. Durante l’ordinario, si sa, succede sempre qualcosa di straordinario. Tutto ciò che è extra ordine qui è una melma a base di pece che ti trascina giù e taglia il respiro con un colpo secco alla carotide dato coi denti ben affilati di un coltello seghettato. Delle illusioni resta ben poco in “Night Thoughts”. Forse solo i due amanti di “Outsiders” che ci provano più per disperazione, per un umanissimo bisogno di calore umano, che per l’amore sconfitto ma pur sempre baciato da raggi di sole – ok, fiochi ma puri – salmodiati in altre canzoni.
Brett Anderson è una penna veloce e complessa, con la capacità di mettere a fuoco i momenti chiave delle storie che canta e di farci cadere in slow motion a 4k. È capace oggi più che mai di regalarci la poesia del momento prima che tutto vada in frantumi. E quel momento lo dilata e lo ferma e ti evita l’impatto col suolo sostituendolo con qualcosa di peggio: una dissolvenza sul buio pesto.
“Fight the sorrow like there’s no tomorrow”, mi potreste rispondere prendendo in prestito i versi del ritornello più catchy di tutta la release. Io vi rispondo “no tomorrow”.
Se siete fermi all’ascolto dei singoli pubblicati fino ad oggi ,probabilmente avrete difficoltà a credere che sia tutto così drammaticamente incagliato in fondali sì tristi e torbidi. Con “Outsiders”, “No Tomorrow” e soprattutto “Like Kids” ci nutriamo di brani dal tiro tipicamente made in Suede, è vero. Poi tutto il resto suona come un quadratura del cerchio, una messa a punto di tutto ciò che non funzionava negli album solisti del frontman. In questa prova affiancato da un superbo Oakes che si muove con disinvolta plettrata tra il manuale della band, il post-punk, il sostegno spruzzato di onirico al cantautore e una intensa deriva che giunge sul limitar dello shoegaze nelle battute finali di “I don’t know how to reach you”. Cos’abbia questuomo ancora da fare per evitare l’inutile confronto con l'”Ei fu” Butler è una domanda che lascio agli stolti.
Col senno di poi e a mente fredda e ragionevole, l’eccellente “Bloodsports” era l’album calibrato per il ritorno, composto di brani sublimi senza legami sentimentali tra di loro, che tratteggiavano il best of di dieci anni di assenza dalle scene. “Night Thoughts” è un album molto più maturo assemblato con i frammenti tragicamente amorosi di un discorso nato diversi anni fa e interrotto per concedersi il pur brillante ma laccato “Coming Up”, diamante sempre scintillante del brit-pop intero.
Nel 2016 i Suede si muovono su altri territori. Dopo un lavoro del genere che strugge e distrugge senza rinunciare a qualche sculettata, sinceramente non saprei più cosa aspettarmi. Ma non ho paura di una prossima uscita, certo che non ne ho. Se Brett Anderson resterà ancora quello capace di scrivere versi come “Anissed kisses and lipstick traces, lemonade sipped in Belgian rooms” (da “Barriers” in “Bloodsports”), non c’è da aver alcun timore. Siamo pur sempre degli sprovveduti cresciuti in una società laica composta da singoli che non temono di andare in analisi a farsi i cazzi di se stessi.
Giulio Be