
Chi è di Napoli conosce per forza gli Stella Diana che sono sulle scene oramai da oltre quindici anni e costituiscono per questo una radicata realtà nel panorama musicale non solo napoletano, ma di tutto il paese. Curiosamente tuttavia i principali riconoscimenti questa band li ha probabilmente ottenuti ricevendo feedback positivi dall’estero e questo forse perché la loro musica non costituisce sicuramente qualche cosa che si possa in qualche maniera considerare oppure ritenere mainstream.
Eppure sicuramente questi ragazzi hanno un gusto per la melodia che, chissà, magari in altri tempi si sarebbe anche potuto definire in qualche maniera radiofonico. La musica degli Stella Diana ha un lato pop, anzi dreampop, che è chiaramente riconoscibile all’interno delle venature che si aprono nelle pareti di suono della distorsione delle loro chitarre elettriche e che per questo potrebbe benissimo vedere questo prodotto destinato a una platea anche più ampia. Ci toccherebbe di conseguenza approfondire una qualche analisi su quella che è la realtà musicale del nostro paese, ma desideroso di evitare clichè e luoghi comuni di alcun tipo, passo oltre e mi limito alle considerazioni su questo disco. Che è un buon disco e questa ritengo sia l’unica cosa che conti veramente.
Alfieri della musica shoegaze italiana, il loro ultimo EP, ‘Alhena’, sarà rilasciato in qeusti giorni in Italia (Vipchoyo Sound Factory) e Inghilterra/Regno Unito (Raphalite Records) e questo a conferma dell’aria internazionale che si respira ascoltando questa band. Il disco del resto è stato mixato da due figure della scena shoegaze internazionale, cioè Marc Joy dei Lights That Change e Alexander Kretov degli Ummagma.
Appassionati storicamente alla musica new-wave, cui inevitabilmente guardano nella costruzione delle loro canzoni, sono rinvenibili invero nel sound di questa band influenze che ritengo derivanti direttamente da un certo sound tipicamente anni novanta. Catherine Wheel, The Stone Roses e Slowdive costituiscono sicuramente una fonte di ispirazione e dei modelli cui guardare e non è casuale che all’interno di questo EP sia presente anche la cover di ‘Govinda’ dei Kula Shaker, una band che anche faceva della ‘mistura’ tra vari generi e elementi il suo principale punto di forza.
Per gli appassionati alla musica italiana, qualche riferimento va pure cercato in quello che era il suono più ossessivo degli ex CCCP e ex CSI e in particolare modo per il cantato che qua e là rimanda anche a una figura eminente della musica del nostro paese, cioè Franco Battiato. Lontani dall’intellettualismo a tutti i costi del cantautore catanese, tuttavia e aggiungerei per fortuna, questa similitudine va più che altro ricercata nella sequenzialità con cui si succede la pronuncia delle parole e in una certa impostazione che, volutamente oppure no, mi ha fatto pensare a questa figura così cerebrale, e che in ogni caso funziona benissimo.
‘Alhena’ è un succedersi di costruzioni armoniche intelligenti e dall’effetto immediato sull’ascoltatore che non può che godere di questo tintinnare di chitarre elettriche come berretti a sonagli e risuonare vortice elettro-statico in cui si viene per forza avvolti in uno stato di delirante semi-incoscienza.