Soldiers of Fortune – Early Risers (Mexican Summer, 06/11/2015)

Soldiers of Fortune – Early Risers (Mexican Summer, 2015) @320 EXY

Soldier Of Fortune è un collettivo di musicisti appartenenti all’area sperimentale del rock indipendente di New York. Kid Millions (Oneida, Man Forever), Barry London (Oneida), Matt Sweeney (Zwan, Chavez, Skunk), Jesper Eklow (Endless Boogie), Mike Bones e Papa Crazee (Oakley Hall e ex Oneida) hanno iniziato a confrontarsi in infuocate jam sessions fin dal 2004 rifiutando, in linea di massima, proposte tese ad uccidere le loro improvvisazioni, che sarebbero finite congelate in un pezzo di vinile. Avevano ceduto nel 2011 realizzando un E.P. con quattro canzoni intitolato “Ball Strenght” ed hanno ora capitolato di fronte alle insistenze del loro fan numero uno, Keith Abrahamsson della Mexican Summer, dando alle stampe, per la sua compagnia discografica, “Early Riser”, aiutati da ospiti dai nomi altisonanti di Stephen Malkmus, Cass McCombs, Dan Melchior e Ethan Miller dei Comet On Fire.

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Un laconico comunicato stampa ci informa che le dieci canzoni sono state realizzate in forma embrionica in studio di registrazione, concepite come idee di canzoni piuttosto che jams libere di fluire, nel corso di un pomeriggio. Poi è stato chiamato un gruppetto di amici che sanno cantare e questo “maledetto lavoro” è stato terminato nel giro di tre giorni.

In effetti, la forma canzone è rispettata, ma già dall’iniziale “Nails” si capisce che tale concetto è stato conservato solo per la bravura dei cantanti che, simili a cow-boys in un rodeo, hanno cercato di domare, a fatica, la materia di pesante sperimentazione. A volte, comunque, il flusso sonico, simile a free jazz sessions, prende la mano ai musicisti e si rischia di essere disarcionati, in preda alla furia delle chitarre ed alle ossessioni della sessione ritmica.

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In canzoni come “Cinnamon Man” e “Campus Swagger” (cantata da Stephen Malkmus) gli animi sembrano placarsi, ma si tratta di sensazioni temporanee, altre volte, come in “Dog Tooth Down” Ethan Miller urla gutturalmente come lo stessero scorticando vivo. “Santa Monica” è un pezzo che inizia con un’atmosfera quieta ed un testo inquietante, che alterna momenti di pace apparente a furiose svisate di chitarra assassina. Non ci si rilassa un momento in questo disco ed il cuore continua a correre, per tutto il suo ascolto, ben oltre la soglia del’acido lattico.

La definizione più vicina allo stato delle cose potrebbe essere quella di dieci quadri di arte astratta, nei quali perdersi scegliendo tra redenzione o cadere vittime del demonio, canzoni che obbligano a guardarsi dentro, quasi in un processo maieutico, canzoni che ognuno è chiamato ad interpretare sulla base delle proprie esperienze personali, canzoni che non indicano il viatico, ma stimolano il desiderio di andare.

Canzoni che, siamo sicuri, sono state realizzate in tre notti di luna piena e l’estate messicana sarà calda, caldissima.

Schoolboy Johnny Duhamel

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