Adoro Seth Bogart, finora meglio conosciuto come Hunx, del travolgente garage / pop / punk / camp combo Hunx & His Punks, responsabile di una serie di super killer singoli e due album. Ha anche pubblicato un album col nome di Hunx, m per quest’uscita fa le cose in grande e ricorre al proprio nome.
A dire il vero qualcuno lo ha anche accusato di fingere sempre di essere qualcun altro, il che è alquanto ridicolo se si ascolta la sua voce particolarissima, al limite della stonatura, che sembra abbia più auto-tune che cipria.
Hunx & His Punks era una band formidabile. Grande presenza scenica ed un suono che sembravano i Generation X alle prese col repertorio dei Modern Lovers mentre se ne stavano rinchiusi in una lavastoviglie, in funzione pulizia piatti particolarmente sporchi.
Un disco a proprio nome, quindi. Addirittura omonimo. Si potrebbe pensare che Seth abbia voluto fare le cose serie questa volta, un album introspettivo alla ricerca dell’io interiore e del suo svelamento per le masse.
Chi? Seth Bogart? Naaaaahhhh!
Al primo ascolto mi è sembrata una transizione verso nuovi suoni molto simile a quello compiuto da Kathleen Hanna quando passò dalle Bikini Kill alle Le Tigre, anche se in quella circostanza, considerando l’attitudine maggiormente strutturata, di ortodossia punk, delle Bikini Kill, la migrazione fu più stridente.
Kathleen Hanna, comunque, canta quasi tutta la bellissima “Eating Makeup” che fin dal titolo fa capire quanto ci sia ancora maggiore divertimento delle altre volte, a colpi di scintillante electro pop preso per i capelli da tastierine a buon mercato, drum machine monotone ed un gruppo di amici a realizzare quello che, se si dovesse definire in una parola, si sarebbe tentati di dire un party album.
Ci sono momenti d’introspezione, questo sì, ma vi si rifugge velocemente nel vagheggiamento di vivere l’attimo, di prendere tutto il meglio da qualsiasi momento della vita.
Beat gorgoglianti, synth irresistibili, canzoni sciocchine sul sesso, la danza ed il divertirsi. Canzoni sulle quali si erge maestosa la voce stridula, a volte al limite della rottura di Seth.
Le canzoni sono piacevoli e sempre in brillante equilibrio tra disinvoltura e noia apparente. “Supermarket Supermodel” (feat. Chela) è già una furba hit nelle migliori discoteche di tendenza, mentre “Club with Me” è uno spericolato R&B di plastica, con soluzioni vocali che non so se mi ricordano Donald Duck o i Big In Japan.
Sono quasi sempre soluzioni pop sound ready made che rendono l’album, se non proprio irresistibile, come quelli a nome Hunx, sicuramente piacevole.
E’ lui lo spensierato garage rocker degli anni 3000 quello che ti avvolge col suo approccio schiumoso, un po’ lunatico, al quale ti arrendi appena abbassa un poco le luci, quello che ti tramortisce in “Sunday Boy” dove appare più fragile, quasi indifeso, a volere dimostrare non essere un party boy unidimensionale, anelando ad un diverso centro di gravità.
Solo per un momento comunque, perché in linea di massima si tratta di un grande album di esplosioni in technicolor di teen pop e subdola bubble gum music.
Come dicevano i Clash, non più Punk, non più Hunx & His Punks nel 2016, ma solo Seth Bogart. Ed è uno sballo totale.