
GALAXIA. Isaac Asimov chiude il Ciclo delle Fondazioni con il romanzo ‘Foundation and Earth’ nel 1986 e lo fa in una maniera che possiamo forse considerare quanto meno inquietante. Il finale è infatti aperto, ma allo stesso tempo difficile da accettare e lascia alla fine spazio a riflessioni non solo per quello che riguarderebbe il futuro della galassia dopo l’adozione del percorso evolutivo denominato ‘Galaxia’ e che porterà gli esseri umani e tutta la materia inanimata della galassia a essere uniti in un’unica collettività in perenne contatto telepatico sul modello del pianeta Gaia.
La scelta viene nella pratica presa dall’umano Golan Trevize in rappresentanza di tutta la specie. Deve essere per forza presa da un rappresentante del genere umano in quello che vuole essere una specie di rispetto tutt’altro che formale alla consapevolezza e la capacità di prendere decisioni dell’uomo. Tutto succede nell’atto conclusivo del romanzo, in un momento che si può definire come uno dei più commoventi della storia della letteratura, il lettore riabbraccia il robot R. Daneel Olivaw, oramai plurimillenario e che ha finora vegliato sul genere umano dal suo remoto insediamento al di sotto della superfice lunare.
Ed è a questo punto, soprattutto, che viene designato il suo successore in questo speciale ruolo di guardiano. La scelta ricade su Fallom, figlio di Sarton Bander, solariano e in quanto tale a seguito di sperimentazioni nel campo dell’ingegneria genetica, ermafrodita e in possesso dei cosiddetti ‘lobi trasduttori’, che gli conferiscono particolari poteri oltre che una intelligenza speciale.
GLI ALIENI SONO TRA NOI. Nei romanzi di Asimov,chi conosce adeguatamente bene quello che è universalmente riconosciuto come il massimo autore del genere, non sono personaggi ricorrenti figure aliene. Mancano praticamente totalmente i tipici ometti verdi tipici della fantascienza o qualsiasi altro tipo di esseri provenienti da altri pianeti. Nella sua gamma di romanzi più conosciuti e tutti ricollegabili al Ciclo delle Fondazioni, oltre che i robot e questi specialmente nella prima fase delle storie, non vi sono altre figure ‘aliene’ di nessun tipo e quando queste prendono parte alle vicende della galassia, veniamo a scoprire che la loro natura e la loro origine è comunque derivata da quella dell’essere umano. Che, ricordiamolo, discende sempre e comunque unicamente dal pianeta Terra e nel caso di specie del Ciclo delle Fondazioni, ha colonizzato l’intera galassia dopo l’iniziale colonizzazione dei primi cinquanta pianeti, denominati ‘spaziali’.
Gli stessi Spaziali, il Mule, gli abitanti della Seconda Fondazione e quelli del pianeta Gaia, infine i solariani e l’ermafrodita Fallom, sono tutti praticamente niente altro che derivazioni del genere umano e di cui costituiscono in qualche modo diversi sviluppi, pieghe diverse prese dall’evoluzione della storia umana per questioni diverse che possono essere dovute a una maggiore salute e tecnologia nel campo medico e una maggiore attenzione alla cura del proprio corpo, alla sperimentazione scientifica e l’ingegneria genetica, a mutazioni del corpo e della mente.
Mancano totalmente gli alieni allora. Oppure no. Chiaramente bisogna fare attenzione nell’affrontare questa questione e evitare di assumere atteggiamenti di tipo censoreo e che possano scadere in un facile disprezzo e discriminazione. La definizione di ‘alieno’ ad esempio per chi ha delle malformazioni fisiche oppure mentali è chiaramente denigratoria e offensiva e profondamente di cattivo gusto e comunque non è questo il tipo di argomentazione che intendo affrontare.
Il punto è: ci dicono che non siamo soli nell’universo e dato che questo è infinito, io sono pronto in teoria ad accogliere questa possibilità come qualsiasi altra. Eppure… Eppure noi stessi, noi uomini nel complesso della nostra struttura apparentemente finita e fine a se stessa, costituiamo invece come ‘genere’ qualche cosa di infinito e che già oggi ha compiuto un lungo viaggio che se ci guardiamo indietro nel tempo appare semplicemente incredibile.
Quali sono allora i limiti del genere umano e della sua possibile evoluzione – anche e in questo caso soprattutto strutturale. Dibattiamo di genetica da almeno cinquant’anni e non sono ancora ben chiari non tanto quali siano i limiti della scienza e della sua possibile evoluzione (ammesso ce ne siano), ma quelli che sono i limiti invece che dovrebbero essere imposti dall’etica e da quello che si ritiene dovrebbe essere il buon senso. Ma anche qui, come possiamo definire due cose come ‘etica’ e ‘buon senso’? Questi due concetti sono per forza da considerare all’interno di una qualche struttura sociale e questa, la società, si modifica di continuo e così come questa viene percepita da tutti i soggetti che ne fanno parte. Che la individuano e allo stesso tempo ne sono condizionati.
ELEMENTO GROTTESCO. C’è un elemento grottesco in questo romanzo di Robert Silverberg, pubblicato in Italia con il titolo di ‘Gli invasori silenziosi’ e che si configura nella pratica come una specie di romanzo di spionaggio e dove in una guerra fredda interplanetaria sono allo scontro due forze opposte, quella degli abitanti di Darruu e quella dei medlinesi. Nel mezzo e prima che sorga quello che si potrebbe definire come ‘il terzo incomodo’, c’è il pianeta Terra, dove si ambientano le vicende e dove gli agenti segreti dei due pianeti in guerra tra loro agiscono cercando di sabotare l’altra parte e allo stesso tempo di portare l’opinione pubblica dei terrestri dalla loro parte allo scopo di prevalere in un conflitto le cui origini sono oramai lontane nei secoli dei secoli.
Questi, questi agenti speciali agiscono sul pianeta Terra sotto falsa identità e si confrontano tra di loro senza nessuna etica e/o rispetto dell’avversario. Le due specie aliene si odiano profondamente, si disprezzano e si muovono in incognito e sotto falsa identità come facevano gli americani, i britannici, i sovietici nella Berlino degli anni della guerra fredda e fino al crollo del muro.
Dove sta l’elemento grottesco? Questo è già stato parzialmente introdotto quando abbiamo parlato di specie aliene e di come queste in qualche modo possano essere tra di noi. Il fatto è che in questo romanzo, queste sono effettivamente tra di noi. Solo che questi alieni, invece che apparirci nelle loro fattenze (che per noi potrebbero essere in qualche modo mostruose o almeno difficili da accettare così su due piedi), assumono invece delle sembianze umane e che li rendono in tutto e per tutto, non solo sul piano estetico, ma anche sul piano delle percezioni e addirittura su quello dei ragionamenti e degli istinti, simili agli esseri umani.
Può succedere allora che persino Aar Khiilom della città di Helaz, un darruese della classe più elevata, un Servo dello Spirito, in missione speciale sulla Terra con l’identità del maggiore Abner Harris (nato nel 2050 a Cincinnati, Ohio), finisca con l’imbattersi in quella che, nelle sembianze terrestri della signorina Beth Baldwin (in realtà un’agente medlinese), gli appare come essere la creatura più interessante dell’universo e con la conseguente attrazione magnetica anche tipicamente sessuale che sin dalle origini della specie ci spinge a ricercare un compagno oppure una compagna.
Per quanto artificiale, tutto questo avviene in una maniera naturale, proprio come potrebbe succedere tra due comuni esseri umani e abitanti del pianeta Terra. Non c’è niente di mostruoso naturalmente in tutto questo e l’elemento grottesco è infatti più interesse proprio per il fatto che questa ostilità, questo senso di repulsione iniziale e che costituisce un condizionamento cui Aar Hiilom è sottoposto sin dalla sua infanzia, viene superato da quella che è la realtà delle cose e la constatazione di come alla fine si possa in qualche modo non solo considerarsi uguali, ma persino attratti da chi è così profondamente diverso da noi.
IL DILEMMA ETICO. Il dilemma etico che costituisce il cuore di questo romanzo è allora duplice. Mi spiego, da una parte infatti abbiamo quello di Aar Hiilom, che si scopre irrimediabilmente attratto da quello che dovrebbe essere il suo nemico naturale, cioè la medlinese Beth Baldwin. Questo succede se vogliamo a causa del fatto che entrambi siano stati chirurgicamente modificato allo scopo di apparire e di sentirsi in tutto e per tutto come dei terrestri e di conseguenza in qualche modo ragionare anche secondo quelle che sono delle logiche e dei sentimenti tipicamente ‘umani’ e che in quanto tali non possono che escludere a questo punto quelle che sono i vincoli dell’attrazione sessuale.
In quello che è un dilemma etico tutto individuale, Aar Hiilom si trova davanti a una scelta. Da una parte c’è quella di continuare nella sua attività di spia e continuare a agire segretamente per li suo pianeta nella volontà di portare avanti una guerra oramai secolare contro il nemico medlinese. Dall’altra Aar Hiilom è stanco. Vorrebbe ritornare a casa e smetterla con questa guerra e questa missione su un pianeta lontano e di lottare per una causa, quella dei cosiddetti ‘Servi dello Spirito’, che non sente sua e che in fondo non condivide veramente. Il dilemma è infatti in qualche modo presente nell’animo di Hiilom sin da prima dell’incontro con Beth Baldwin. Così egli è chiamato in effetti a scegliere tra se tradire se stesso oppure le istituzioni e l’ordine che è chiamato a servire.
Dall’altra parte vi è un dilemma etico più grande e che chiama in causa sia Aar Hiilom che Beth Baldwin, ma principalmente e allo stesso tempo l’intero genere umano e gli abitanti del pianeta Terra oltre che il lettore.
In quello che è lo scontro tra i Darruu e Medlin e il tentativo degli agenti segreti di entrambe le fazioni di orientare l’opinione pubblica terrestre a proprio favore, emerge infatti un’altra causa che viene immediatamente sostenuta dai medlinesi e da una parte ristretta della popolazione del pianeta Terra, che agisce tuttavia nel segreto più totale anche rispetto ai propri abitanti.
Emerge infatti un elemento nuovo e quello che è un nuovo stadio evolutivo della popolazione del pianeta Terra. Una generazione intermedia di terrestri in evoluzione e particolarmente dotata e con poteri fisici e mentali enormi rispetto alla media. Una nuova super-razza praticamente che i medlinesi si propongono di aiutare e di preservare e favorirne la crescita in quella che si considera una fase delicata della loro evoluzione e dove tra le altre cose questa potrebbe non riconoscere il favore della restante popolazione terrestre. Una realtà che inizialmente Aar Khiilom accoglie con un certo scetticismo e incredulità ma che successivamente i fatti lo spingeranno ad accettare come vera.
UNA NUOVA PROSPETTIVA PER IL GENERE UMANO. Questa nuova super-razza, questa nuova fase del processo evolutivo, pure costituendo – è evidente – una finzione, una costruzione letteraria, pone ugualmente il lettore davanti a un dilemma etico, almeno potenziale, e a quella che costituisce in teoria una nuova prospettiva per il genere umano.
L’uomo non costituisce un prodotto fatto e finito in quanto tale. La teoria dell’evoluzione, che ha sorpassato quelle che costituivano teorie oscurantiste e che allo stato attuale non sono sostenibili neppure dalle diverse istituzioni ecclesiastiche, ci ha insegnato che siamo diventati quello che siamo attraverso un percorso di migliaia, anzi di milioni di anni. In questo senso la nostra storia anzi non è neppure così lunga come potremmo immaginare e non possiamo escludere nel corso del tempo di imparare ancora qualche cosa su chi siamo e da dove veniamo. Ma possiamo sapere veramente dove stiamo andando? Secondo me no. Non possiamo saperlo con esattezza e probabilmente non lo sapremo mai. Davanti al futuro dell’umanità si aprono infinite strade e tra queste, è evidente, ce ne sono sicuramente moltissime che potrebbero farci storcere il naso, apparirci inaspettate oppure inaccettabili e potrebbero apparirci come tali anche quando il fatto compiuto potrebbe apparire davanti ai nostri occhi.
Ma per tutto questo potremmo anche non proiettarci troppo avanti nel tempo e in un futuro remoto che magari potrebbe non verificarsi mai e poi mai e guardare a quella che è la nostra società al giorno d’oggi. Come potremmo mai accogliere questa nuova e tutta eventuale nuova specie del genere umano se ancora oggi facciamo fatica ad accettare il ‘diverso’ (le virgolette sono d’obbligo) in tutte le sue forme e proprio per questa ragione allora, facciamo in primo luogo fatica ad accettare noi stessi e quello che siamo veramente. In questo senso allora forse questa nuova specie, questo nuovo essere umano e questa nuova fase evolutiva è già tra noi. Del resto siamo noi che ci evolviamo e che cambiamo generazione dopo generazione e questo fenomeno, inarrestabile, è in atto sin dall’inizio e pure con i rallentamenti e le brusche frenate che la storia ci ha insegnato, continua a andare avanti e sarà così sempre fino alla fine. Cade così l’elemento che avremmo potuto definire grottesco e succede così che un abitante di Darruu possa innamorarsi perdutamente di una medlinese e che il suo sostegno alla causa di questa nuova ‘specie’ non sia altro che metaforicamente una presa di coscienza e la scelta di una cultura che sia quella dell’incontro e dell’acquisizione di una nuova consapevolezza di se stesso invece che quella dello scontro a tutti i costi contro tutto e tutti e in primo luogo contro la propria natura di essere senziente.
Quotes.
1. Il maggiore Harris aggrottò la fronte, e la faccia si rabbuiò.
Si comportava bene, quella faccia. La bianca pelle sintetica rispondeva come se fosse sua. Al solito, i chirurghi di Darruu avevano fatto un ottimo lavoro. Un lavoro davvero artistico.
Avevano asportato i viticci carnosi lunghi dieci centimetri che spuntavano sulle tempie di ogni darruese. Poi avevano coperto l’epidermide (di un intenso colore dorato) con uno strato di bianca pelle terrestre, innestandola con tanta abilità che oramai era diventata sua.
Le lenti a contatto avevano trasformato il colore degli occhi, normalmente rosso, in un grigio-azzurro. Un trattamento ormonale gli aveva fatto crescere sulla testa e sul corpo peli fitti come a un terrestre, dove prima non c’era proprio niente. I chirurghi non avevano alterato gli organi interni, perché sarebbe stato un lavoro superiore alle loro capacità. Internamente, lui restava un alieno, con l’apparato digerente degli abitanti di Darruu, al posto dell’intestino lunghissimo dei terrestri, e col doppio cuore e il fegato robusto appena dietro ai tre polmoni.
Nella sua personalità restava un alieno: Aar Khiilom della città di Helasz, un darruuese della classe più elevata, un Servo dello Spirito. Ma ora doveva dimenticare la sua identità precedente, e immedesimarsi in quella terrestre. Si ripeté, cocciuto, che non era più Aar Khiilom, ma il maggiore Abner Harris.
2. Lui la fissò. – Supponiamo che io non avessi captato quel segnale d’emergenza. Supponiamo che non avessi idea di chi foste voi in realtà. Volevamo trovarci, qui nella vostra stanza, bere qualcosa e probabilmente fare all’amore. Sareste… sareste venuta a letto con me, anche sapendo quello che sapevate?
Beth rimase per un attimo in silenzio. Poi, freddamente, disse: – Credo proprio di sì. Sarebbe stato interessante vedere che tipo di reazioni biologiche sono capaci di ottenere i chirurghi di Darruu.
Un lampo di odio cieco e selvaggio attraversò Harris-Khiilom. Che puttana! pensò. Era stato educato a odiare i medlinesi a tutti i costi: erano i nemici ancestrali del suo popolo, i rivali galattici dei darruuesi, da quattromila anni e forse più. La semplice vista di un abitante di Medlin era sufficiente a scatenare l’ira in uno di Darruu. Solo il travestimento terrestre aveva impedito a Harris di provare la normale repulsione verso tutto ciò che veniva dal quel mondo.
Ma ora il ribrezzo lo travolgeva come un’ondata, alla rivelazione della cinica ‘curiosità’ biologica della ragazza. Gli sembrava un sacrilegio che un essere così leggiadro parlasse in modo tanto odioso.
3. Trovava inconcepibile che una metropoli fosse così grande, e che si potesse volare per cinquanta minuti in elitassì senza uscirne. E non l’aveva neppure percorsa da un’estremità all’altra. No. Era semplicemente andato da una propagine a sud-est, a un punto vicino al cuore della città stessa… e ci aveva impiegato quasi un’ora, percorrendo quindi centinaia di chilometri.
Ora stavano scendendo.
L’elitassì sorvolava in cerchi sempre più stretti la rampa di atterraggio dello ‘Spaceways Hotel’. Harris pagò il pilota, entrò immediatamente nell’albergo e salì in camera sua.
Azionò il comunicatore a breve raggio e attese fino a quando la voce metallica dell’altoparlante disse in codice: – Qui Carver.
– Parla Harris.
– Siete fuggito.
– Be’, non proprio. Mi hanno liberato spontaneamente.
– Come avete fatto?
– È una storia lunga. Siete riuscito a localizzare l’edificio dove mi tenevano rinchiuso?
– Sì. Perché vi hanno lasciato andare? – insisté Carver.
Harris rise. – In seguito alle loro insistenze, ho promesso di diventare agente segreto di Medlin. La mia prima missione – continuò in tono ameno – è di assassinarvi.
La risata che uscì dall’altoparlante non era del tutto allegra. – È una barzelletta? – domandò Carver.
– È la verità.
4. ‘Io non sono Wrynn’ disse la voce, calma ‘ma il figlio non ancora nato di Wrynn.’
Harris si sentì cadere piano verso il pavimento. Era proprio come se una mano invisibile gli avesse fatto piegare le ginocchia e poi lo avesse afferrato e seguito nella caduta.
Giacque lì, a terra, gli occhi aperti, cosciente, ma senza la capacità né la volontà di muoversi. Non poteva neppure azionare il segnale di pericolo.
Chissà come, persino il desiderio di chiamare aiuto gli era stato tolto. Solo nel punto più profondo della sua mente ribollivano paura e ribellione.
5. Era una spaventosa voragine di odio folle. Harris si ritrovò a guardare in un foro scuro, dall’atmosfera torbida, dove forme contorte fluttuavano e giravano su se stesse, e creature con strani artigli arrancavano, disgustose, protendendo verso l’alto tentacoli leggeri. Odio, delitto, ogni concepibile schifezza erano riuniti laggiù. Sentiva la gelida immondezza salire su dal pozzo, sommergerlo. E rabbrividì. Udiva suoni, aspri e discordanti, urla di rabbia, schifosi tuoni ruttanti e, sotto a tutto questo, un rumore continuo come se creature di dimensioni enormi si avvoltolassero nel fango appiccicoso. E, di quanto in quando, lo schianto nauseante di mandibole che si chiudevano su membra che andavano in frantumi.
Era un incubo di impensabile orrore.