Radar Men From The Moon – Subversive I (Fuzz Club, 16/09/2015)

coverI Radar Men From The Moon tornano con un album che è un vero e proprio monolite tetragono, ricco di sedimentazioni portare da maree sonore, che attingono alla grammatica minimalista, per cogliere con serie di induzioni ipnotiche ciò che non è possibile attingere dalla conoscenza. Quasi a voler sollecitare una catarsi provocata dall’inalazione di pulviscolo sonico stimolato dalla improvvisazione controllata, come fosse esercitata all’interno di precisi posti sicuri, precedentemente delineati.

12219500_1206246076058143_6837013645597091968_nL’album va inteso come opera compiuta, suddivisa in quattro movimenti, forse più vicino al Teatro Espressionista che al rock. A volte si ha la sensazione che le intuizioni minimalistiche, che procedono per accumulo di geometrie dichiarate dall’inizio, siano approcciate con l’attitudine degli Einsturzende Neubauten più strutturati, quelli quasi compressi in un’idea di forma canzone, ma l’incedere mantrico / derviscio rischia sempre di farci intendere ciò che in cuore nostro già sappiamo, attraverso sollecitazioni siderurgiche che possono anche esaltarci, come nel finale di “Habitual”, quasi a rincorrere una sorta di condizione estatica. I pattern ritmici sono ossessivamente orientati all’emulazione della trance reiterata e sporcata dalla incessante scansione di tipo motoristico, quasi alla ricerca di un groove di meccanica perdita di controllo.

Ciclicità ossessiva e manipolazioni industriali costituiscono il propellente per il viaggio ipnotico suddiviso in queste quattro stazioni, che sembra voler essere compiuto nella tranquillità del treno evocato dal terzo movimento di questa suite, intitolato “Neon”. Un treno freddo, fautore di suoni di centrifuga metallica, quasi ad evocare un certo manierismo di marca Kraftwerk, sferragliando in modo risoluto all’interno di confini proto elettronici.

11143137_1128016140547804_4358686293651689087_nAttualmente i Radar Men From The Moon sono una delle rappresentazioni più verosimili, e per questo sconvolgenti, della società post-industriale. Armonie ed arrangiamenti scarnificati in favore di viaggi istintivi in direzione dei collage sonori prodotti dai grandi avanguardisti teutonici Stockhausen e, soprattutto, Faust. I battiti metallici, le dissonanze di rumore bianco e le tempeste mantriche dipingono scenari apocalittici, lasciando intravedere, comunque, la possibilità di redenzione dal senso di vuoto e angoscia. Un suono grandioso, quasi epico che fonde al suo interno esperienze psichedeliche, shoegaze, new wave e krautrock.

Uno stile avanguardistico che tende all’astrazione. I Radar Men From The Moon hanno inteso quest’ultimo lavoro come un’esperienza in divenire un’esplorazione, quasi una decostruzione del gruppo stesso.

Radar Men From The Moon, sicuramente una band che ha saputo mantenere inalterata la propria carica primordiale.

Schoolboy Joohnny Duhamel

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