
Ogni tanto provo ad ascoltare qualche cosa di diverso dal solito. Per carità, devo dire di avere in verità meno ‘paletti’ che in passato. C’è stato un tempo invero, devo confessarlo, nel quale se uno non aveva la voce da orco cattivo, allora lasciavo perdere e passavo oltre.
Col tempo tuttavia mi sono addolcito e sono addivenuto a più miti consigli. Forse è successo perché mi son rammollito, forse perché mi sono semplicemente stancato di sentire sempre le stesse cose oppure perché più semplicemente questa cosa in qualche modo, non mi chiedete esattamente quale, fa parte di una specie di percorso spirituale mio personale.
Negli ultimi giorni ho ascoltato due dischi di due vocalist sicuramente brave e che forse hanno anche qualche punto di contatto tra di loro. Uno mi è piaciuto, l’altro no.
Il primo è quello di Myrian Gendron. Si intitola, ‘Sings Dorothy Parker: Not So Deep As A Well’ ed è uscito l’anno scorso per la Mama Bird Recording Co. Il secondo è l’ultimo di una delle vocalist più apprezzate di questi ultimi anni, cioè Joanna Newsom.
Entrambi i dischi hanno qualche cosa che richiama inevitabilmente a sonorità tipiche degli anni sessanta e settanta. Una certa psichedelia di ambientazione pastorale e bucolica leggera e melodie evocative che furono tipiche di un certo sound british di quel periodo e che furono forse portate ai suoi massimi livelli da Nico nella sua produzione solista oppure Joni Mitchell. C’è tuttavia qualche cosa di più nel disco di Joanna Newsom rispetto a quello della sua collega (il cui disco costituisce un omaggio chiaramente a Dorothy Paker ed è stato inserito da Thalia Zedek in una sua ideale toplist dei dischi ascoltati nell’ultimo anno). Piaccia oppure no, il suo talento musicale e le sue capacità liriche, la sua sensibilità artistica, costituiscono qualità evidenti e che le vanno riconosciute per forza. Di più, quello che apprezzo veramente di Joanna Newsom è che questa non abbia mai paura di osare e di cercare di spingersi al di là di quello che potrebbe essere svolgere il solito compitino di stile e classe (due caratteristiche che certo non le mancano).
‘Divers’ è il quarto LP in studio della cantautrice e multistrumentista, che in questa occasione ha lavorato agli arrangiamenti delle canzoni con Nico Mulhy e David Longstreth (Dirty Projectors). Date le capacità non solo musicali, ma soprattutto interpretrative di Joanna Newsom, all’interno del disco si alternano episodi più sperimentali e brani che pure all’interno della tradizione folk, tradiscono una certa tentazione nei confronti della musica pop (‘Sapokanikan’ – singolo con tanto di video diretto da Paul Thomas Anderson – oppure la title-track, ‘Divers’). Interessanti e degne di note alcune sperimentazioni a livello vocale tipo ‘Same Old Man’ oppure ‘Waltz of the 101st Lightborne’, ‘Goose Eggs’, che sono quasi delle ballate country cantate con una cadenza ironica, una voce alterata e dal tono quasi ‘teatrale’.
In definitiva, va bene, la musica di Joanna Newsom è una musica raffinata e per ascoltatori raffinati e che sul lungo periodo e se ascoltata in dosi massicce potrebbe probabilmente provocare un certo senso di sfinitezza e persino irritazione in quelli che sono dei giustamente devoti alla causa del rock’n’roll, una categoria della quale riconosco senza nessun pudore di fare felicemente parte e questo con tutte le contraddizioni possibili del caso. Tra queste, perché no, c’è anche l’apprezzamento dovuto e forse anche reverenziale della bravura di questa ragazza del Nevada. Però mettetecelo in ogni caso questo disco sugli scaffali della vostra libreria, e fate sì che questo sia in bella mostra quando invitate a cena una bella ragazza: farete sicuramente bella figura. Io, invece, che con le donne non ho molta fortuna e evidentemente non intendo forzare questa lunga tradizione negativa, quindi preferisco lasciar perdere e metto su ‘Doolittle’ dei Pixies e per qualche momento provo a sentirmi addirittura felice.