Non avrei nemmeno voluto recensirlo. Un disco brutto e inutile, che meriterebbe passare inosservato. Gli Stooges sono la mia band preferita e allora? Cosa faccio? Non scrivo nulla?
Gli Stooges sono Ronald Franklin ‘Ron’ Asheton Jr., David Michael “Dave” “Zander” “Dude Arnett” Alexander, Scott Randolph “Scotty” “Rock Action” e James “Iggy Pop” Osterburg Jr. Punto!
Ron è il genio, Zander il talento, Scotty… Scotty è Rock Action ed Iggy Pop è un batterista mediocre, che non se la cava con alcun strumento ed è relegato al canto, al quale era originariamente destinato Scotty, il bello del gruppo. Poi Iggy, quasi miracolosamente, ci ha regalato prestazioni canore strabilianti nei tre album Stooges ed in quello in combutta con James Williamson, in quello che è il primo vero, maldestro, tentativo di conseguire l’agognato successo commerciale per fare un pacco di soldi. Ecco i soldi, son sempre quelli che lo fregano. Non ha forse accettato un tour sponsorizzato dalla Skol per promuovere il consumo di tabacco da masticare tra i giovani?
La sua carriera post Stooges è un un disastro. Ha cantato in due bellissimi dischi di David Bowie e poi è stata quasi una barzelletta. Ha impostato la propria voce su toni grottescamente cavernosi ed ha raggiunto il punto più basso con l’atroce “Préliminaires”, attraverso cui ha massacrato una serie di bellissimi classici francesi, che di bello c’è il sollievo che, per quanto si sforzerà, per il resto della propria vita, non potrà mai fare un disco peggiore di quello. Probabilmente nessuno ci riuscirà mai.
Questo disco è proprio brutto. Non ignobile come certi sforzi precedenti, ma per dirla con le parole del filosofo Fantozzi, è proprio una boiata pazzesca.
La sua voce è peggiorata ulteriormente e forse qualcuno dovrebbe informarlo che gli impianti aiutano molto più dei ponti mobili nel modulare le melodie e beccare le note.
Lui e Josh si son trovati, ad inizio anno, in “una località segreta” (forse sogna ancora di diventare il presidente degli U.S.A., come quando frequentava la High School) ed hanno finanziato di tasca loro le sessions. Mah! Magari non hanno trovato nessuno che credesse in un progetto che sembra l’aborto del tentativo di rivitalizzare le intuizioni berlinesi, rincorrendo musiche che sembrano scarti delle Desert Sessions, che già erano scarti di qualcosa altro. In “Sunday”, siamo addirittura costretti ad assistere al ridicolo tentativo di ibridazione di “Bad Girls” di Donna Summer con l’inarrivabile, maestoso ed impossibile suono di “Station To Station” e “Young Americans”.
Se anche le musiche non fossero tanto banali, sarebbero comunque rovinate dalla scarsa vena del cantante e del suo parossistico rantolo baritonale.
E poi a settanta anni suonati dovrebbe smetterla con quagli atteggiamenti e far vedere sempre il suo affare, che non manca occasione per tirarlo fuori, per vantarsi, mente invece è come quello di tutti gli altri, ma a lui sembra più grosso, perché vittima del suo egocentrismo e dell’inganno delle proporzioni, essendo lui piuttosto minuto. E cominciasse ad indossare qualche maglietta ogni tanto che i suoi muscoli non son più un bel vedere, perché nelle persone anziane la massa magra viene sostituita dall’acqua con inevitabile rilassamento.
L’apertura è affidata a “Break Into Your Heart” che è una vera schifezza, come a volersi togliere il dente e essere certi che passata questa sofferenza, l’ascoltatore sarà in grado di giungere alla fine dell’album senza poi essere costretto al ricovero alla Neuro. Magari converrebbe concentrarsi sulla recitazione delle poesie di Walt Whitman, cosa che gli riesce abbasanza bene.
“Post Pop Depression” si diceva. Vero. I miei altoparlanti sono andati in depressione durissima, si son messi a piangere per averli costretti a suonare un disco tanto brutto che, alla fine, mi han fatto pena e li ho abbracciati per rincuorarli.
Che cazzo! Spero proprio di morire prima di diventare vecchio… Se mi devo ridurre così! Vaffanculo!