High Priest Of Saturn – Son Of Earth And Sky (Svart Records, 26/02/2016)

high-priest-of-saturn-son-of-earth-and-sky-lpLa bella copertina mi ha fatto venire in mente le placida atmosfere create da Roger Dean per “Tales From Topographic Ocean”, così carica di misticismo, tranquillità e senso di abbandono. Un’atmosfera marziana, evocativa e non priva d’insidie. Gli High Priest Of Saturn sconfinano sul Pianeta Rosso e ci regalano un disco da non credere. Un lavoro di ammaliante bellezza che attinge a piene mani dalla psichedelia più nobile. Non disdegnando all’interno del proprio suono vagiti Doom ed assalti fuzz, galleggiando in una sorta di “non spazio / non tempo”, congelando la propria arte nel momento che, pertanto, è destinato a durare. Musica espansa e libera di fluire, atmosfere cosmiche libere di galleggiare su brillanti tessiture di Hammond.

1452242539mzdUna band norvegese dunque, ma dimenticate i luoghi comuni associati alle musiche provenienti da quella bellissima terra, perché qui non troverete chiese in fiamme, assassinii ed aneliti demoniaci, ma un arte suprema, sottile e raffinata, una musica multiforme, che si regge sui diversi livelli che ne costituiscono l’ossatura, la profonda ricerca degli arrangiamenti che sorreggono la splendida voce  di Merethe Heggset, avventurose divagazioni sonore sulle quali svettano le armonie vocali placide e rassicuranti.

Merethe ci incanta simile ad una sirena ed è bello perdersi tra le sue ipnotiche evoluzioni, ma altrettanto importante è il suo contributo come bassista e proprio il basso e le tastiere costituiscono il tappeto sul quale si regge l’architettura sonora del lavoro. La chitarra quando è libera di spaziare non manca di evocare il fantasma del David Gilmour ispirato / spiritato di “Wish You Were Here” ed è veramente un’esperienza fuori dal corpo ascoltarla in “Ages Move The Earth”.

85a2_3In “Sons Of Earth And Sky” sembra di cadere in un episodio movimentato dei tardo Yes, col suono che rifugge ogni gravità accentuando l’ariosità della chitarra pink floidesca, che duella con tastiere finto classiche, a rincorrere sfumature inedite spazzate dal vento del pianeta solitario del prog rock più ispirato.

Radici stoner ben piantate nel terreno fuzz, senza auto indulgenza evitando di perdersi nei meandri dell’eco. Canzoni intrise di riverberi educati, chitarre evocative, ossessione vagamente Doom, ma concisa, leggera quasi un ossimoro, una scusa per sfoderare la voce stupenda, una voce che ti strega fin dal primo ascolto e che rischia di sbaragliare, veramente, tutta la concorrenza. Quando i ritmi accelerano, si ha sempre l’impressione di non sconfinare mai in terreno stoner / heavy psych più scontato, restando nell’ambito della forza centripeta primi King Crimson o di divagazioni heavy Yes.

Un disco ammaliante, che ti stende al primo ascolto tramortendoti con sfumature placide piuttosto che con assalti sonori forsennati.

Non potrei più vivere senza.

Voto: 9/10

Schoolboy Johnny Duhamel

Bandcamp

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