I Golden Daze tentano l’impresa di seppellire sotto una nebulosa di lo-fi e trasognante psichedelia gentile gemme di puro ed entusiasmante pop, ma falliscono e queste canzoni perfette riemergono a rallegrare gli animi ed a migliorare le esistenze.
Il duo di Los Angels approccia la materia sonica alla stregua di Anton Newcombe, con ronzanti atmosphere vagamente shoegaze alternate a effetti scintillanti e derive oniriche, ritmi suggeriti e sospesi, chitarre flash d’immaginazione Brian Jones in Marocco. Un suono di induzione inconscia piuttosto che celebrato, con mirabili mutazioni puntiformi eseguite in sala di registrazione. Mood di pungente sapore patchouli a rincorrere gli aquiloni di Venice Beach, più stratosfera che Psych Church, svelato dal segreto di arrangiamenti ariosi e leggeri negli interspazi dei quali si adagiano, placide e delicate, le armonie vocali.
“Sleeping In The Sun” è forse il motivo di più facile presa, qualcuno potrebbe addirittura suggerire ruffiano, dell’album, ma è una canzone irresistibilmente deliziosa, col suo incedere di semplice progressione chitarristica su cui si alternano soluzioni di celestiali stratificazioni armoniche, con uno special, a circa metà canzone, di chitarra indisciplinatamente memore della sintassi dei Velvet Underground più poppy e spensierati.
“Low” deborda di effluvi fine anni ’60’s. Ricca di vibrazioni psichedeliche è la canzone che si ascolta quando si sta cercando di convincersi sia ancora estate mentre l’amara realtà è fuori che ci aspetta. Nonostante sia la traccia più scura dell’album, si finisce per apprezzarne l’incedere quasi esaltante nel suo particolare modo.
“Me Llamo” è sublime riverbero intrappolato sul pentagramma già letto dai primissimi Tame Impala e dagli Amen Dune meno avventurosi. I ritmi sono insistenti, quasi ripetitivi, e si dipanano per vie orizzontali piuttosto che seguire il surplace diritto di corde interlocutorie.
A volte gli effetti sonori possono essere percepiti come un elemento aggiunto ai due appassionati dei tardi anni ’60’s Mr. Ben Schwab e Mr. Jacob Loeb, ma la sensazione che si ha è comunque di esperienza organica tesa a sviluppare undici canzoni di ammaliante ed avvolgente bellezza, intrappolate tra la struggente nostalgia di esperienze del secolo scorso e l’intrepida innovazione, colonna sonora per cirri e nembi persi a rincorrersi nella spensieratezza della ionosfera.
Arrangiamenti gioiosi, mai troppo esuberanti, a proprio agio con la contenuta energia rinfrescante della tessitura musicale che sottintende l’intera opera, con le sillabe che paiono quasi impachettate all’interno delle soluzioni sonore.
Melodie catchy e impennate di cori scandiscono motivi vocali spesso avviluppati su riverberi sostanziosi e quando le atmosfere si incupiscono vagamente pare quasi vedere nuvole moderatamente dense aleggiare sul segnale di una chitarra carica di presagi manipolati.