Fuzz – II (In The Red, 23/10/15)

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Non appena i Fuzz annunciano un nuovo album si percepiscono vapori di profumi Black Sabbath, aspersioni di Led Zeppelin spiritati ed inflessioni Tyrannosauros Rex negli abissi dell’agitatissimo mare stoner, dai riflessi metallici, che Charlie Mootheart, chitarra e voce, Chad Ubovich, basso e l’incontenibile, vulcanico, Ty Segall, alla batteria e voce amano solcare, incarnandosi nell’esperimento hard psych, marchiato minacciosamente Fuzz.

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E’ un disco tentacolare, un maelstrom stratificato, suoni primitivi e semplice polvere cosmica, simile ad un fluido blob, che ama propagarsi in forma libera, non disdegna incursioni in territorio progressive e sconfinamenti heavy metal con alta gradazione ossianica. Il santino di Tommy Iommi imprigionato tra le corde della chitarra e l’ugola di Ozzy a disturbare i sonni.

E’ un album caustico, di sperimentale rock ’70 con fragranze Flower Travelling Band, ghiaccio secco, assalto di riverbero inondato da stomp proto-metal, con la perfetta e precisa produzione che è lecito aspettarsi da Ty. Altri sapori facilmente percepibili sono Hawkwind e Groundhogs, ma il talento di Segall disdegna l’emulazione, interessato, come è, a rendere omaggio ai suoi idoli, partendo da evidenti influenze per dipanare un suono personale, che ci conduce ben oltre i riferimenti di partenza.

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Le canzoni di quest’album doppio sono quasi tutte superiori ai quattro minuti e si propongono quale pesante, se non difficile, esperienza fuori dal corpo. Il basso di Ubovich fornisce il contrappeso austero per voce soave di Segall su “Let It Live”.

“Pollinate” è pesantezza assoluta di cantilena esoterica su tappeti di chitarre ultra sature, sui quali s’innervano rinfrescanti guizzi, a stemperare l’atmosfera fangosa avviluppata su una voce veramente impressionante. Le digressioni progressive del finale, potrebbero sembrare fuori luogo, ma sono incastonate in questo piccolo gioiello in modo da non sfigurare.

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L’iniziale “Time Collapse II – The 7th Terror” ha un intro di spaventosi garriti sintetici per poi irrompere in monolitici ed ottusi riff di chitarra sporcata da leggeri effetti.

E’ un album abrasivo che supporta l’espansione mentale e l’esperienza spaced out giocando con citazioni di vari generi musicali per formare il proprio suono totemico. Un album che scalderà le nostre serate invernali.

Schoolboy Johnny Duhamel

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