
December 24, 2015
Quando ho inaugurato questa sezione del blog, mi sono proposto come finalità principale quella di approfondire, cercare di conoscere quante più cose possibili per quello che riguarda il mondo della musica e questo da ogni punto di vista e per quello che riguarda ogni genere e contesto possibile. Nel giorno della vigilia di Natale, abbiamo fatto cinque domande a Floriana, studentessa presso la Scuola superiore per intepreti e traduttori di Trieste, attualmente al lavoro su una tesi relativa la semplificazione del linguaggio di Trenitalia. Nata a Crotone, Floriana ha vissuto in Norvegia e in Portogallo e oltre che studiare lingue straniere, scrive su un suo blog, ‘Mistilinguismi’ (Riflessioni e curiosità su lingue e dintorni), e dall’età di dodici anni canta in gruppi corali (prima come soprano, successivamente tra le fila dei contralti) e ora in particolare con il coro accademico della sua università. Queste cinque domande sono state un’opportunità per avere un confronto costruttivo su quella che è una realtà, quella dei gruppi corali, poco conosciuta dall’esterno e anche per affrontare, se possibile da una prospettiva diversa, un tema sempre attuale come il confronto e qualche volta anche l’incontro tra una cultura di tipo laico e il mondo della religione (cattolica in particolare). Nel ringraziare ancora una volta Floriana per la sua cortesia e per le sue interessanti risposte, faccio anche a tutti i lettori i miei migliori auguri di un sereno Natale e questo al solito a prescindere da quello che può essere il credo religioso di ciascuno. Pace.
1. Ciao Flo. Grazie mille per aver dato la tua disponibilità a rispondere a queste cinque domande e raccontarci qualche cosa su un aspetto della musica di cui io personalmente so praticamente nulla. Entriamo subito in medias res. Correggimi se sbaglio: tu non pratichi nessuna tipologia di culto religioso e non sei vincolata da nessuno schema mentale di tipo ‘tradizionalista’ alla fede cattolica. Tipo che non te ne frega niente neppure del presepe. In che cosa credi allora? Oddio, so che a questa domanda non si può rispondere in poche righe, dicci solo quello che senti. Poiché canti in un gruppo corale di musica sacra, ci spieghi come riesci a conciliare questa cosa con quelle che sono le tue idee in materia religiosa? Mi spiego, io personalmente non ci vedo nulla di anomalo chiaramente, ma mi domandavo come considerassero questa cosa i rappresentanti delle istituzioni ecclesiastiche. Oltre che le altre persone che compongono il coro chiaramente. Cercano di convertirti o fanno della diversità quella che si può considerare giustamente una ricchezza, una risorsa aggiuntiva?
Grazie a te per questa inaspettata intervista! Innanzitutto, io non mi considero una persona religiosa, come ben sai, benché da qualche mese abbia trovato la mia fede ideale nel Pastafarianesimo. Sono in attesa di pastezzo, ma pratico i semplici principi di questa religione nella vita di ogni giorno (cosa che facevo già prima di scoprirla). Ad ogni modo, non ho avuto un’educazione religiosa, la mia famiglia non lo è mai stata e io ho sempre avuto un ampio margine di libertà di scelta. Però poi ho scoperto che mi piaceva la musica corale e mi sono avvicinata a questo mondo. Verso i dodici anni ho iniziato a cantare nel coro di una chiesa, poi nel coro di un’altra chiesa, e allora non mi sembrava strano (era anche il periodo della mia crisi mistica). Poi ho cantato in altri tre cori che con la chiesa non hanno nulla a che fare: un coro femminile norvegese e due cori universitari (uno di Lisbona, l’altro è quello in cui canto attualmente). Quindi si può dire che non sono cori che hanno direttamente a che fare con le istituzioni religiose, l’unico punto di contatto è il repertorio che, per forza di cose, è sacro, essendo la musica corale per lo più appartenente a quell’ambito. Nel mio coro attuale c’è una fauna variegata, si va da Santa Maria Goretti alla figlia del Demonio (io). Se non si bestemmia troppo, si può andare tutti d’amore e d’accordo.
2. Quando hai cominciato a cantare? Hai preso lezioni, hai studiato musica? E quando e come hai cominciato a cantare in un gruppo di musica corale? Hai cominciato quando abitavi ancora a Crotone oppure dopo il tuo trasferimento a Trieste? In ogni caso, come sei riuscita a entrare in contatto con un mondo, che si suppone comunque essere quello religioso, cui non senti di appartenere. Che feedback hai ricevuto? Sei facilmente entrata in contatto con le altre persone? Questa qui potrebbe sembrare una domanda del cazzo invece, ma sinceramente te la faccio senza nessun pregiudizio o prevenzione di sorta, cioè, che tipo di persone fanno parte del coro? Dico per quello che riguarda l’età anagrafica, gli studi fatti, se hanno una famiglia, degli interessi particolari. In questo momento fai parte di un gruppo specifico oppure è variabile a seconda dei periodi e si forma magari in prossimità di periodi come ad esempio le festività natalizie. State lavorando a qualche cosa in particolare in questo momento?
Come dicevo, ho iniziato a cantare verso i dodici anni nel primo coro: ci entrai in contatto durante un concerto di Natale della scuola in cui io avevo una piccola parte da solista e qualcuno mi propose di entrare nel coro della chiesa in cui avevamo fatto lo spettacolo, a Crotone. Non ho un buon ricordo del primo coro, erano tutti molto più grandi e non parlavo con nessuno, ma la prima cosa che ho cantato è stata la messa RV589 di Vivaldi. Bellissima, folgorazione. Ai tempi, curiosamente, ero ancora soprano, poi dal secondo coro sono entrata orgogliosamente tra le fila dei contralti. Nessuno mi ha mai chiesto che opinione avessi sulla religione, a dirla tutta, però andare a messa la domenica per cantare mi pesava un po’, perché io a messa non ci ero mai andata. A volte mi sentivo in colpa perché ero l’unica a non prendere la comunione, per esempio, e forse qualche sguardo stranito me lo hanno lanciato. Nel mio coro attuale direi che non interessa a nessuno, anzi, è un modo per punzecchiarci tra “fazioni”, ogni tanto. Tipo durante la messa d’inaugurazione dell’anno accademico (l’unica a cui partecipiamo) il giochino è sempre cercare di farmi ridere durante la celebrazione, e posso assicurarvi che non è difficile.
Far parte di un coro è bello, si fa gruppo come in uno sport, sorprendentemente, ci si diverte un sacco. Io ci ho incontrato alcuni dei miei migliori amici, ed è un’attività a cui non rinuncerei mai. Per quanto riguarda i componenti dei cori, dipende molto: nei cori delle parrocchie, l’età tende a essere alta, è gente che frequenta abitualmente la chiesa, nella mia esperienza, con figli e vari gradi di istruzione. Il mio coro norvegese era piuttosto omogeneo: solo ragazze tra i tredici e i vent’anni, mentre i cori universitari sono composti per lo più da giovani e da “aficionados” che sono rimasti dentro. Questi ultimi tendono a cambiare spesso organico, in quanto sono legati a doppio filo alla vita universitaria, quindi la gente va e viene. Il mio coro attuale è composto da circa cinquantacinque persone, abbiamo fatto il concerto di Natale qualche settimana fa e ora ci ritroveremo dopo le feste per preparare (spero) il meraviglioso Requiem di Fauré.
3. Posso sbagliare, ma in realtà non credo che al di là dei gruppi corali ecclesiastici, ci siano poi molte opportunità di prendere parte a un coro. Comunque non me ne vengono in mente altre se escludiamo tipo il ‘coro dei pompieri’ che però mi fa pensare più a un vecchio film con Bud Spencer e Terence Hill. Ma qual è il repertorio cui si attinge di volta in volta? Si tratta solo e esclusivamente di canti religiosi? Fanno parte della tradizione oppure sono ‘moderni’? Mi domandavo inoltre proprio quale fosse il funzionamento vero e proprio di un coro, dato che non ne ho mai fatto parte. C’è una specie di direttore d’orchestra o comunque di figura che si occupa di dirigere, pilotare il gruppo? Ci sono delle musiche di solito, vengono eseguite dal vivo? C’è qualche brano tra i tanti che hai interpretato che ti ha colpito oppure ti piace in modo particolare? Non per forza per quello che è il suo eventuale contenuto spirituale oppure religioso chiaramente.
Probabilmente in Italia è così: il coro è automaticamente associato alla vita ecclesiastica (o agli alpini) e, molto spesso, mi trovo a dover spiegare ai miei interlocutori che io non sono per niente religiosa, spesso suscitando espressioni di sorpresa. All’estero, soprattutto nei Paesi protestanti, penso che la tradizione corale sia più viva, anche in altri ambiti. Ci sono cori moderni che propongono brani di vocal pop, ad esempio. Il repertorio dipende molto dalle scelte del direttore del coro (di solito ce n’è sempre uno, sì). Poi, ovviamente, ci si deve riunire per imparare i brani e per mettere insieme le varie parti, provarle, affinarle, studiarne le dinamiche (noi proviamo una volta alla settimana, quindi l’impegno non è particolarmente gravoso). Il mio coro attuale fa per lo più musica sacra antica, con alcune eccezioni: l’anno scorso abbiamo fatto Bohemian Rhapsody, ad esempio, e l’O Fortuna dei Carmina Burana di Orff, che non sono sacri, al contrario di quanto si creda. Di brani corali che mi piacciono tanto ce ne sono moltissimi, sia tra quelli che ho cantato, sia tra quelli che conosco per altre vie. Ad esempio, O vos omnes dei Tenebrae responsories di Victoria è una delle cose più belle che abbia mai ascoltato, il Christus factus est di Bruckner è bellissimo e difficile allo stesso tempo, l’Abendlied di Rheinberger è altrettanto bello e difficile, o anche il Requiem di Fauré che ho già citato e che spero faremo a breve. Cito anche Water Night di Eric Whitacre per avere qualcosa di non sacro e più moderno: io l’ho ascoltato durante un concerto di un altro coro e sono rimasta folgorata. Poi potrei citarne tantissimi altri, ma mi limito a questi.
4. La religione è un tema sempre attuale. Non mi riferisco ovviamente a quello che riguarda la cura della propria parte spirituale, perché se effettivamente dedicassimo davvero tutti quanti del tempo a questa cosa, immagino che allora magari ci sarebbe in circolazione molto meno ‘malessere’. Mi riferisco ovviamente alla religione considerata come istituzione o comunque, ancora una volta, come qualche cosa che divide le persone tra di loro. Ci racconti invece qualche cosa di questa tua esperienza, che si è svolta comunque immagino in ambienti che si potrebbero definire, ‘istituzionali’. Questa esperienza ti ha insegnato qualche cosa su te stessa e in generale sugli altri, sulla società in cui viviamo? Mi riferisco in particolare alla realtà italiana.
Non saprei, forse posso dire di aver trovato persone più ragionevoli di quanto mi aspettassi. L’immagine della persona religiosa è spesso legata all’essere bacchettoni e bigotti, ma ho trovato delle eccezioni (e anche molte conferme, purtroppo). Per il resto, soffro molto quando ci toccano eventi istituzionali come la messa d’inaugurazione dell’anno accademico, che è l’unico evento religioso a cui partecipiamo durante l’anno. Al di là dell’ilarità che possono cercare di suscitare in me, alcune cose che vengono dette durante la messa mi fanno veramente incazzare, soprattutto perché pronunciate da alte cariche ecclesiastiche, ma non si può dire niente. Un anno, ad esempio, il vescovo disse cose piuttosto brutte, parole d’intolleranza che uno non si aspetterebbe in un ambiente come la chiesa. E allora ho imparato che è meglio smettere di ascoltare direttamente.
5. Tu sei studentessa presso la Scuola superiore per intepreti e traduttori di Trieste. Hai vissuto in Norvegia e a Lisbona in Portogallo e in generale hai viaggiato molto e ovviamente anche per ragioni legate ai tuoi studi, hai una buona conoscenza delle lingue straniere. Parli bene l’inglese e il portoghese e che io sappia te la cavi bene anche con il norvegese. Vengo al dunque. Quando frequentavo lezioni di lingua inglese, il mio insegnante, che era irlandese (di Belfast), ripeteva spesso una frase che lui attribuiva al regista italiano Federico Fellini: ‘Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita.’ Personalmente condivido i contenuti di questa frase, che chiaramente apre davanti ai nostri occhi un immaginario sconfinato. Ritrovi in questa frase di Federico Fellini qualcuna delle motivazioni che ti hanno spinto a intraprendere questo tipo di studio? Inoltre, ritornando alle tematiche religiose, per quella che è la tua esperienza personale, sussiste una maggiore ingerenza della cultura e dei condizionamenti della religione cattolica nella società italiana rispetto ad altri paesi? Infine, so che questa cosa ti sta creando qualche grattacapo al momento, ma se ti andasse di raccontarci qualche cosa della tesi che stai scrivendo, sarebbe un modo più che interessante per concludere questo nostro incontro.
È indubbio che Fellini avesse ragione in merito: conoscere la lingua di un Paese ti apre le porte di quel Paese, non solo perché puoi comunicare direttamente con le persone del posto, ma anche perché ti impone questioni culturali che non riguardano solo gli altri, ma anche e soprattutto te stesso, il tuo modo di vedere le cose, le tue prospettive. Ti fa dare diverso peso alle cose e ti fa mettere in discussione alcune idee, anche solo a partire da una parole.
Tornando alla religione, io penso proprio di sì. Ho vissuto in un Paese protestante per un anno (la Norvegia) e posso dire che la cultura protestante è più civile, più coerente, meno ipocrita, più rispettosa degli altri, più consapevole dei propri diritti e dei propri doveri. Forse è anche per questo che la Norvegia funziona così bene, anche se l’aspetto religioso si è molto ridimensionato. Ho vissuto anche in un altro Paese cattolico, il Portogallo, per circa cinque mesi, e lì la cultura cattolica è tangibile, ma gli effetti diretti che ha sui portoghesi sono ridotti: vedi, ad esempio, la questione sui diritti degli omosessuali, che i portoghesi hanno risolto ormai da anni e senza gli effetti catastrofici che tutti sembrano temere da noi. C’è anche da dire che il Portogallo ha sviluppato una sorta di rifiuto nei confronti del Cattolicesimo dopo la fine della dittatura, che aveva imposto la religione a tutti i cittadini.
Cambiando discorso, la mia tesi riguarda la semplificazione del linguaggio di Trenitalia, cioè prendo alcune comunicazioni al pubblico, le analizzo, ne rilevo le criticità, poi le semplifico traducendole in un italiano più comprensibile. In realtà. avrebbe dovuto essere tutt’altro, visto che parliamo di religioni: inizialmente avevo deciso di farla sulle bestemmie, ma non è stato possibile anche per quella stessa ingerenza di cui abbiamo appena parlato.