
I GRANDI NAVIGATORI. Lo scorso 12 ottobre, in occasione della ricorrenza dello sbarco di Cristoforo Colombo nelle Americhe e più precisamente nell’odierna San Salvador, ho riscontrato come la figura dell’esploratore e navigatore italiano sia oggi considerata in maniera per lo più negativa e impopolare. La critica, è evidente, sarebbe quella prima relativa l’impatto negativo che avrebbe avuto la scoperta dell’America da parte di Colombo sulle popolazioni indigene che abitavano il continente; la seconda sarebbe più precisamente sulla sua figura e sul suo coinvolgimento diretto in azioni di ostilità nei confronti delle suddette; la terza infine quella relativamente i meriti della scoperta. Secondo alcuni trascurabili. Secondo altri persino nulli: in fondo le Americhe erano già state ‘scoperte’ dai vichinghi e se consideriamo che queste erano già abitate, beh, allora in qualche modo non si potrebbe proprio parlare di scoperta in senso stretto.
Il viaggio dell’uomo è un tema che mi affascina particolarmente. Sappiamo che l’uomo in quanto tale nasce nel continente africano e con successive migrazioni abbia poi nel corso dei millenni popolato l’intero pianeta. Ne consegue, secondo questa tesi che è quella prevalente negli ambienti scientifici e personalmente che non ritengo discutibile (al limite perfezionabile, nel senso che molto e ancora molto altro possiamo e dobbiamo cercare di scoprire sulla nostra storia passata), che in un certo senso tutti i continenti e tutti i posti dove l’uomo abbia messo piede, siano stati in qualche modo scoperti. Così, la prima scoperta delle Americhe si vuole, attraverso il continente asiatico, in un periodo datato tra il xl e il xv millennio avanti Cristo. E questo è un dato incontrovertibile, ma portare a sostegno tutte queste tesi scientifiche e storiche, secondo il mio punto di vista e secondo quella che vuole essere una analisi storica puntuale e relativa lo sviluppo della società umana, l’importanza del viaggio intrapreso da Cristoforo Colombo non è affatto secondaria.
Cristoforo Colombo, come gli altri grandi navigatori della sua epoca, ridiede nuova linfa, un nuovo senso e una nuova spinta alla crescita dell’intero genere umano dopo quella fase relativamente breve, ma affatto invece per quella che è l’esistenza del singolo individuo cosciente, che definiamo ‘medioevo’. L’epoca delle grandi scoperte significò una occasione fondamentale di incontro e pure di scontro tra le persone che non aveva avuto altri momenti eguali nel corso della storia e che probabilmente come proporzione, sarà superata solo da una nuova colonizzazione che però questa volta significherà esplorare lo spazio. In questo senso, senza volere ridurre altre tematiche come quelle relative un vero e proprio ‘genocidio’ commesso ai danni delle popolazioni indigene delle Americhe, l’importanza della scoperta di Cristoforo Colombo è per forza centrale nella storia del genere umano.
JAMES COOK. L’ultimo continente a essere raggiunto e conseguentemente esplorato, durante l’epoca delle grandi navigazioni, è noto che furono l’Australia e la Nuova Zelanda oltre che le Isole Hawaii, regioni che non a caso ancora oggi mantengono alcune tradizioni tribali che rivendicano orgogliosamente.
Il primo a raggiungere il continente australiano, quello che chiamiamo ‘Oceania’, fu Abel Tasman nel 1642, ma è soprattutto la figura di James Cook quella che è più rimasta nell’immaginario collettivo. Cook era nato a Marton nel Regno Unito e compì tra il 1768 e il 1779 tre viaggi attraverso lo sconfinato e allora pressocché sconosciuto Oceano Pacifico. Durante il primo di questi viaggi fu tra le altre cose il primo a circumnavigare la Nuova Zelanda e il primo a documentare l’esistenza dell’animale che tutti riconoscono come quello caratteristico del continente, il canguro.
Chiaramente anche la figura di James Cook presenta molte ombre. Egli fu un grande navigatore e avventuriero, comandante di vascello per la Royal Society e esploratore dell’ignoto a caccia della famigerata Terra Australis. Circumnavigò la Nuova Zelanda, raggiunse le isole Hawaii e l’isola di Pasqua, Tonga. La Nuova Caledonia e le Isole Sandwich australi fino a toccare la Terra del Fuoco. Raggiunse nel sul ultimo tragico viaggio lo stretto di Bering alla ricerca del fantomatico passaggio a nord-ovest tra l’Atlantico e il Pacifico.
Il contributo di James Cook alla storia è innegabile, eppure anche la sua figura è chiaramente in qualche modo macchiata. Secondo molte testimonianze, durante il suo ultimo viaggio, James Cook assumeva sovente atteggiamenti di tipo violento e secondo molti irragionevoli e ai limiti dell’irrazionale. Tragica e controversa fu la sua fine presso le isole Hawaii. Secondo la storia, una storia contestata e che mai probabilmente conosceremo nel dettaglio, infatti, James Cook fu inizialmente scambiato per una divinità dalle popolazioni indigene locali, cioè Lono, il dio della fertilità. Successivamente tuttavia egli assunse una posizione di scontro contro queste popolazioni per motivazioni non meglio precisate. Secondo alcuni in seguito al furto di una scialuppa dal suo vascello da parte degli indigeni. Non è accertato chi per primo aprì il fuoco. In ogni caso fu qui che il comandante James Cook trovò la morte. Fu pugnalato a morte presso la baia di Kealakekua e successivamente fatto a pezzi in quello che costituiva una specie di omicidio rituale.
L’AUSTRALIA. Rituale così come è secondo molti aspetti la dinamica della storia raccontata da questo film del regista australiano David Michod, già assorto all’onore delle cronache nel 2010 per il film Animal Kingdom e confermatosi un bravo regista anche alle prese con questo road-movie post-apocalittico ambientato in Australia.
Le premesse vanno ricercate nella crisi economica iniziata nel 2008 e successivamente allargatasi a tutto il mondo occidentale. Crisi peraltro secondo alcuni studiosi ancora in corso, secondo altri no. Tutte tesi in ogni caso discutibili, come si fa del resto a stabilire quando arriva una crisi e quando questa è passata? Le variabili da tenere in considerazione sono molte, probabilmente troppe per segnare con precisione un inizio e una fine. Di conseguenza, magari anche per questa ragione, il regista non si prende la briga di stare a spiegare come siano iniziate le cose e come la società che oggi conosciamo si sia avviata, all’interno della storia narrata dal film, verso quella che appare una fine irrimediabile. Inevitabile tuttavia per chi ha vissuto questa fase storica non riconoscere nel decadimento sociale ed economico alcuni dei tratti su cui si è molto insistito in questi ultimi anni, quando sotto certi aspetti la fine della società dell’uomo a causa di una crisi economica è apparsa una realtà più concreta di quella che poteva essere la fine a causa di una guerra atomica di proporzioni mondiali. Come durante gli anni della Guerra fredda.
A questo punto immaginate l’Australia. No, non c’è bisogno di conoscere bene l’Australia e di immaginare come sia la vita nelle grandi città oppure nei piccoli centri più o meno turistici del paese. Immaginate l’Australia che avete visto nei film di Crocodile Dundee e grandi deserti e autostrade degne dei road-movie americani. Atmosfere da film di David Lynch tipo ‘Wild At Heart’ oppure meglio Wim Wenders nel suo periodo americano. Ecco, prendete ‘Paris, Texas’ e immaginate pure un sottofondo di colonna sonora di Ry Cooder, ambientate tutto in un futuro prossimo post-apocalittico e ecco disegnato il mondo in cui si ambientano le vicende del film.
L’ambientazione in Australia del resto potrebbe essere casuale e semplicemente legata a ragioni di opportunità e perché del resto il regista è nato a Sydney. Ma è altresì interessante considerare come ci sia forse un senso nella volontà della scelta delle ambientazioni. L’Australia viene ancora oggi vista da molti come una terra di frontiera e conseguentemente come una terra di speranza. Data la sua vastità questa costituisce ancora per lunghi tratti una terra se non inesplorata, comunque ancora da colonizzare. Ci sono spazio e risorse naturali, ma anche già finanziarie e economiche e adeguate dato che parliamo comunque di un grande paese dell’economia mondiale. Una potenza economica eppure ancora terra di frontiera e questo ancora negli anni dieci del nuovo millennio. Potenzialmente, è innegabile, l’Australia costituisce già e senza nessuna modifica e alterazione, una terra da sogno e da ambientazioni fantascientifiche. Un mondo ancora da scoprire.
THE ROVER. La storia del film è apparentemente semplice. Al centro delle vicende c’è un uomo, Eric (interpretrato da Guy Pearce), che come molti altri, ha perso tutto. L’unica cosa che lo tiene attaccato alla sua vita precendente è la sua vecchia automobile. La storia comincia quando questa gli viene sottratta da tre rapinatori in fuga. Succede tutto nelle prime battute del film, il resto è praticamente una caccia all’uomo in cui Eric sarà accompagnato da quello che è praticamente l’unico altro attore protagonista delle vicende raccontate, cioè Reynolds.
Reynolds, interpretrato da Robert Pattinson (già eletto nuovo pupillo di David Cronenberg), è il fratello di Henry, uno dei rapinatori, ma è stato abbandonato dagli altri che lo credevano morto. Reynolds è leggermente ritardato, in pratica ha qualche disturbo mentale e costituisce una figura tanto fragile quanto carica di energia tanto da assumere effettivamente un ruolo-chiave all’interno delle dinamiche del film. Minacciato di morte da Eric, Reynolds si offre di guidarlo fino al rifugio dei rapinatori che gli hanno sottratto l’automobile. Tra cui anche il fratello, di cui vuole vendicarsi per essere stato lasciato solo.
Il film è stato criticato per la mancanza di dialoghi e per la storia sotto certi aspetti considerata banale, prevedibile, già vista. Ciononostante secondo me siamo di fronte a un buon film, dove sono più le battute non pronunciate a contare che i dialoghi veri e propri. I due protagonisti si muovono freddamente in un universo privo di qualsiasi legame e di qualsiasi logica. Le persone vanno e vengono, si muovono come delle mosche impazzite in uno scenario desertico e vagano senza nessuna meta precisa e più che cercare di sopravvivere, sembra quasi che cerchino di accelerare la loro rincorsa verso la fine.
REDENZIONE. Vale lo stesso in qualche modo per i due protagonisti. A dire la verità, l’unico che sembrerebbe voler vivere e in cui si intravedere una qualche scintilla vitale, questi è proprio Reynolds. Rey è in qualche modo attratto subito dalla figura di Eric, che idealmente nel suo immaginario deve prendere il posto di quella del fratello maggiore Henry, che lo ha tradito e che per una banale equazione allora merita di morire. In un certo senso la figura di Rey è ancora immacolata, nonostante tutto, questo anche a causa di una sua genuina ingenuità oltre che per il fatto che è stato in qualche modo vittima di un ‘tradimento’. Eric, al contrario, come tutte le altre figure che appaiono nel film, non ha in realtà nessuna possibilità di salvezza. Eric è un peccatore: ha ucciso molte persone e tra queste anche la sua stessa moglie, che aveva scoperto a letto con un altro uomo. Ferito nell’animo da questa esperienza, si rende conto, ha maturato la convinzione che tutto è perduto e che questa cosa riguardi non solo la società cui prima appartenenva, ma anche se stesso e la propria anima. Perché di conseguenza si muove così animosamente per andare a caccia della sua automobile? La spiegazione credo sia quella che ho dato al capoverso precedente. Gli uomini nella storia raccontata da David Michod vanno a caccia della morte. Della propria morte prima che di quella degli alri. Come se solo attraverso questa potessero raggiungere una specie di redenzione dei propri peccati e trovare una pace ideale che solo in maniera illusoria riconsegnano a una epoca ideale felice precedente.
Il rituale, quello sacrificale e che richiama noti passaggi della Bibbia, si compie inevitabile alla fine del film, quando la caccia avrà termine e Eric, Reynolds e tutti gli altri personaggi non potranno che andare incontro al loro destino. Un destino già segnato e nel rinnovamento di quello che fu definito come il marchio di Caino. Quindi idealmente anche della stessa storia dell’uomo che evidentemente non è destinata alla fine neppure a fronte di eventi di natura apocalittica. Siano questi individuali oppure relativi il più ampio contesto della società in cui viviamo.
Quotes.
1. – Hai qualche problema, fratello?
Dico. Hai qualche problema, fratello? (Henry)
– Rivoglio subito la mia macchina. (Eric)
– Sì, ti capisco. Ma non te la possiamo ridare. (Henry)
– Voglio la mia macchina. Se non me la ridate, monto sul furgone e non vi darò pace finché non l’avete fatto. (Eric)
– Cosa ti fa pensare che non ti faccio fuori subito? (Henry)
– Niente me lo fa pensare. (Eric)
2. – Che facevi? (Reynolds)
– Facevo il contadino. E adesso sono qua. (Eric)
3 . – Quando ti decidi a parlare, stronzo? È finita.
Per te è finita. (Agente)
– Sì, lo so. (Eric)
– Mi fa piacere che lo sai. (Agente)
– Anche tu lo sai? (Eric)
– Sì, lo so, campione. Te l’ho detto. (Agente)
– Sai che è finita anche per te?
Dici che per me è finita. Ma lo era già tanto tempo fa. È di te che sto parlando. (Eric)
– Cos’è, mi minacci? (Agente)
– No. Una minaccia fa intravedere uno spiraglio.
Che fai ora con me? (Eric)
– Ti mando a Sydney. (Agente)
– Perché invece non mi spari?
Dimmi perché non lo fai. Chiunque al tuo posto lo farebbe. (Eric)
– Perché se ti mando a Sydney, quelli di Sydney capiscono che ci pagano per qualcosa. Se spariamo a tutti quelli che vogliamo, quelli si chiederebbero subito che cosa ci stiamo a fare qui. Personalmente me ne frego di te. Me ne frego se a Sydney ti lasciano libero o se grazie a una mazzetta te la cavi. Facciano il cazzo che vogliono. Non me ne frega un cazzo. Lo faccio solo per me. (Agente)
– Cos’è che fai per te?
Cos’è che fai per te?
Ho ammazzato mia moglie. L’ho seguita fino a casa di un uomo. Ho visto che lui le infilava le dita dentro e li ho ammazzati. Nessuno è mai venuto a cercarmi. È stato dieci anni fa. Non ho mai dovuto dare spiegazioni. Non ho mai dovuto mentire. Non mi sono mai dovuto nascondere. Li ho sepolti e sono andato a casa e nessuno è mai venuto a cercarmi. È questo che mi fa più male del fatto in sé. Sapere che non importa. Sapere che puoi fare una cosa del genere e nessuno viene a cercarti. Fai una cosa come quella che dovrebbe avere importanza, ma semplicemente non ne ha più. (Eric)
– Beh, campione, quello che hai fatto laggiù è una di quelle cose che per noi hanno ancora importanza. Ora fai tutte le confessioni e dì le bugie che vuoi. (Agente)
– Come ti senti quando ti svegli la mattina? Quando metti i piedi per terra. O prima, quando sei sdraiato, e pensi che devi scendere dal letto. Che sensazione provi?
Sai di che parlo? (Eric)
4. – Guido io per un po’? (Reynolds)
– No. (Eric)
– Sto a mio agio quando sto con qualcuno… quando me ne sto seduto senza parlare per forza.
Sì. Mi piace tanto stare seduto e stare zitto. Sto bene seduto senza parlare. (Reynolds)
5. – Cos’hai fatto a mio fratello?
Rispondimi! Cos’hai fatto a mio fratello? (Henry)
– Non gli ho fatto niente. (Eric)
– Sì, invece! Cosa gli hai fatto… (Henry)