
Ecco finalmente un disco veramente interessante e che sebbene ispirato a sonorità sicuramente non nuovissime, ripropone il caro vecchio sound del blues del delta dando una rinfrescata al genere e aggiungendoci un tono di leggerezza, quasi ironia, che definirei inedito.
Christopher William aka C.W. Stoneking non è nato negli Usa e sulle rive del Mississippi, bensì in Australia a Katherine nel Territorio del Nord. Il padre è Billy Marshall Stoneking, poeta e scrittore nato negli Usa e emigrato in Australia negli anni 1970. A scanso di equivoci, è bene precisare subito che C.W. Stoneking è un bianco. Di conseguenza, se siete degli integralisti e ritenete che il blues sia una questione solo per dei fratelli dalla pelle nera, cosa che in via generale vale anche per il sottoscritto (sì, sono abbastanza integralista anche io), lasciate perdere. In caso contrario, continuate pure a leggere questa recensione e soprattutto date un’opportunità a questo disco.
Del resto parlare di blues e di bluesmen al giorno d’oggi secondo molti sarebbe quasi una bestemmia. Qualche giorno fa leggevo questo tale che sosteneva che non ci sono più in giro dei veri bluesmen e che il genere sarebbe morto, si sarebbe esaurito con il decesso dei vari grandi giganti del ‘delta’, Robert Johnson e John Lee Hooker, Son House e Charley Patton, Muddy Waters. Peccato tuttavia che nessuno si sia ancora preso la briga di comunicare la cosa a Keith Richards che è vivo e sano come un pesce che per toglierlo dalla circolazione non basterebbe neppure un missile nucleare. Detto per inciso, non ci riuscirebbe neppure Vladimir Putin.
A proposito di Putin, l’altra sera, tra il primo e il secondo tempo di Inter – Roma, guardavo su Raiuno questa intervista a questo giovane santone della chiesa ortodossa e che poi sarebbe il principale confessore del presidente della federazione russa, che si vanta a torto o ragione di essere l’uomo più potente del mondo. Adesso non posso sapere che cosa si dicano i due quando si incontrano e non so quale sia la vostra opinione su Vladimir Putin. Perché dovremmo escludere anch’egli nonostante tutto abbia una sua componente spirituale. Probabilmente le logiche della sua spiritualità saranno differenti dalle mie, differenti dalle vostre, chi lo sa, ma deve avere per forza anche lui una componente spirituale. Cioè non esclude altresì che egli abbia urgente bisogno di redenzione. ‘Va’ al catechismo,’ gli direbbe il vecchio Cab Calloway, ‘Vladimir, devi ravvederti fratello, va’ al catechismo e chiedi del reverendo Cleophus James. Ascolta le sue prediche e mi ringrazierai.’
Che poi i Blues Brothers, Joliet Jake e Elwood, erano bianchi. Proprio come C.W Stoneking, che sarà pure bianco, ma sicuramente deve aver visto la luce e deve essere infetto dal sacro spirito del voodoo se suona il blues del delta in una maniera così autentica da sembrare ‘autentico’. Sembra autentico, dai, sicuramente è un esperimento assai riuscito se consideriamo altri più o meno dello stesso tipo, vedi il blues da camera forzatamente vintage dell’occhialuto Nick Waterhouse.
Christopher invece non ha la pretesa di suonare arcaico o già sentito e prova in qualche modo anche a essere originale e secondo me ci riesce. Invece che una vecchia chitarra acustica, suona il banjo e la sua Fender Jazzmaster, che in effetti come la sua gemella nasce come chitarra da accompagnamento per le orchestre e il cha-cha-cha, una Gibson Es330 del ’62 più un amplificatore Fender Princeton fatto apposta per lui a Lincoln in California, Usa.
Ne conseguono soluzioni degne di essere considerate. Lo stile di Christopher in ‘The Zombie’ lo definirei ad esempio tipicamente sudamericano, ‘ma che ogni tanto sguisava blues’, il sound di ‘Get On the Floor’ e ‘Tomorrow Gon’ Be Too Late’ è quasi calypso e richiama a spiagge caraibiche e atmosfere da spiaggia deserta all’ombra di palmizi con tanto di pappagalli, scimmie da spalla e noci di cocco. ‘The Jungle Swing’ suona giustamente swing e ‘On the Desert Isle’ ha un arrangiamento a tratti quasi Django Reinhardt pure senza nessuna menomazione particolare alla mano sinistra e/o qualsiasi pretesa di inutili virtuosismi tipici degli emulatori dell’originale tipo Bireli Lagrene e altri.
Simpatico l’utilizzo dei cori in ‘Good Luck Charm’ e ‘I’m the Jungle Man’ e sempre per quello che riguarda le prestazioni vocali, mi piace la voce cavernosa, quasi grattuggiata Tom Waits, di ‘Mama Got the Blues’ con la chitarra che porta un accompagnamento sincopato, quasi come se suonasse un reggae primitivo. Il resto, ‘Going Back South’ etc. etc. è quel caro buon vecchio blues del delta peraltro già richiamato e con un retrogusto volutamente vintage e vecchio-radiofonico.
Il disco è uscito l’anno scorso, nell’ottobre del 2014. Personalmente lo avevo mancato e lo ho ascoltato solo durante quest’ultima settimana. Non è mai troppo tardi. Qui del resto non si tratta di far rivivere un mito, che cosa ce ne faremmo del resto, quanto invece provare a esprimere se stessi. Riuscendoci appieno. Bravo ragazzo, a volte si può essere dei soul men pure avendo la pelle bianca.