David Bowie – “Station To Station”, il Feedback e la Polvere Bianca

cover“Station To Station” non è una canzone, ma un buco nero che sembra volere inghiottire tutta l’energia dell’Universo, un viaggio all’interno di progressioni wagneriane inquinate dal blues tossico e algido. Un oggetto futurista che qualsiasi momento si ascolti, sarà sempre un souvenir dal tempo a venire, carrozze all’interno delle quali è proiettato ”Un Chien Andalou”. Il legato e la voce di diaframma, le fluttuazioni di ritmo e tempo sono ideate per liberare e scatenare emozioni, eredità di musica africana, blues moderno, quasi sterilizzato dalla ricchezza delle intonazioni. Un linguaggio che trasmette tutta la gamma dei sentimenti, dalla tristezza alla lussuria.

dentiAi tempi delle session il Duca Bianco era un alieno, un vampiro bellissimo col viso di Lauren Bacall e i denti di Humphrey Bogart. Capelli ramati con ciocche bionde, scorazzava per Hollywood a bordo dell’immensa Mercedes Benz bianca, vestito da astronauta e con a fianco Harry Dean Stanton.

Los Angeles era fuori da mondo in quei giorni, soprattutto per un ragazzo nato a Brixton e cresciuto a Bromley.

Fauna alienata / alienante, pericolosa, che si esprimeva per gesti e tic del viso, suoni provocati dallo schiocco della lingua sul palato a significare la chiusura della trattativa losca ed è strano che un maniaco del controllo come David, si sia lasciato coinvolgere in quel turbine, pesantissimo, di dipendenza da cocaina. Un rapporto con la bianca incredibile, quasi bulimico, ridotto letteralmente a pelle e ossa, un consumo tale da correre il rischio di restare svegli tutte le notti se non fosse che Mr. David Bowie non ha mai dormito in vita sua.

thin-white-duke1.1062329_stdLe session di “Young Americans” erano state maniacali, con musicisti e coristi allo stremo per le ripetute prove, variazioni e David era tutto un “ci sono quasi, ho avuto un’idea, proviamo così” e tutti nello studio cedevano al suo fascino, riconoscevano il suo talento inarrivabile e lo assecondavano pur cadendo a pezzi per il super lavoro. Tempi pericolosi, vissuti con pochi di quelli che avrebbe potuto chiamare amici.

Earl Slick e Carlos Alomar alle chitarre, il batterista Dennis Davis ed il bassista George Murray co-optato dal combo jazz/funk di Weldon Irvine.

La stessa formazione che aveva realizzato il magico “Fame” con l’intenzione della RCA di ripetere il colpo grosso e le inevitabili pressioni sull’artista che aveva trascorso l’estate del 1975 nel New Mexico a girare “The Man Who Fell to Earth”. Era tornato a Los Angeles alla fine di agosto, disturbato dalle voci sul suo presunto comportamento, diciamo, erratico ed entrato ai Cherokee Studios, i pavimenti dei quali erano stati già calcati da fuoriclasse del calibro di Frank Sinatra, col fido produttore Harry Maslin.

6a00e55378e88988340120a6a15870970cTotalmente influenzato, quasi perso dietro le geniali intuizioni dei Kraftwerk (che incontreranno lui e Iggy a bordo della canzone “Trans Europe Express” giusto due anni più tardi) decide di aprire “Station To Station” con il feedback. Earl Slick quasi non ci crede,  ma fa accatastare tutti gli amplificatori presenti in studio in prossimità della parete. Li collega e attacca il jack della sua chitarra. Parte il rombo che fa vibrare i vestiti dei musicisti in sala e lui ci da dentro da matti, quasi perso in quel turbine di suono, ma ha il tempo di urlare a Carlos “questo me lo devi tenere così per almeno quindici anni”. Sembrava posseduto, in preda a delirio di onnipotenza e senza possibilità di redenzione.

Carlos Alomar è una grande persona, musicista eccelso, enorme sense of humor, amicone e buon compagno di bevute. Lo si potrebbe definire uomo di mondo. Fu lui che vide Iggy Pop venire giù dalle scale completamente nudo con un ukulele in mano a strimpellare due delle note di quella che sarebbe diventata “Lust For Life” e che quando i fratelli Hunt e Tony Sales, che avevano trascorso il periodo delle session nell’incertezza, o per meglio dire, nella paranoica consapevolezza di poter essere estromessi dalle registrazioni in qualsiasi momento, partirono a razzo con quell’accompagnamento ritmico che ha fatto storia, non pensò nemmeno per un istante di bloccarli, di fermarsi a ragionare sullo sviluppo e progressione del pezzo, perché quando il treno folle dei fratellini Sales parte è impossibile per chiunque fermarlo. Ti va bene se riesci a stargli dietro.

Quindi, uno che sa come vanno le cose ed in grado di affrontare qualsiasi situazione critica, ma in quella circostanza si affrettò a rispondere ad Earl che il feedback è uno strano mostro, non facile da dominare. A volte lo senti muoversi all’interno del corpo come i muscoli di un cavallo imbizzarrito che ti guizzano sotto il sedere durante il rodeo, altre volte è lui che ti possiede e devi semplicemente assecondarlo con tecnica da jiu jitsu.

E invece i sibili e le dissonanze son state ingabbiate, quasi congelate in un’apertura epica, movimenti felpati di meta macchina che riassumano l’immaginario di qualsiasi stazione ferroviaria e di tutti i treni. E’ Marlene Dietrich, ma anche Robert Johnson che si aggira sperduto nell’atrio della sala d’attesa con la valigia in mano. E’ il treno diretto ai nostri cuori.

Il feedback qui non è quello ossessivo e difficilmente addomesticabile di Lou Reed, ma pura arte subordinata alla forma canzone, magnifico esercizio di equilibrio, è un feedback orgasmico, seduttivo, senza possibilità di resistenza.

73ed7716c07df21de89b25c85b94ef6ePoi c’è la mitologia. Tutte le storie incredibili nate all’interno di una tormenta di cocaina e che hanno riguardato la stregoneria, la raccolta di cimeli nazisti e un esorcismo che ha lasciato una sagoma di Satana disegnata sul fondo della piscina. Bowie al momento più folle (aveva addirittura dichiarato al NME che la Gran Bretagna aveva bisogno di un leader fascista) e talmente stravolto da non  ricordare nemmeno le registrazioni.

Come avrà fatto, allora, a realizzare questo capolavoro di equilibrio e spaventosa compiutezza? Ebbro di scintillante glamour malevolo trasportato sofficemente dal feedback che si rincorre sinuoso da destra a sinistra degli speaker, art-rock sopra una cadenza quasi di marcia funebre fino a che il Duca palesa la sua presenza con gli immortali versi: “The return of the thin white duke, throwing darts in lovers’ eyes.”

Il Thin White Duke è stato il personaggio finale di Bowie, un personaggio che incarnava il fascino del male, perfettamente vestito con gilet e borse Oxford, canticchiando piuttosto swingando, con determinazione europea.  Nelle celebre intervista rilasciata via satellite a ITV dichiara, visibilmente confuso, per rispondere alla domanda, che il prossimo personaggio che interpreterà sarà David Bowie. “Station To Station” raggiunge i cinque minuti, accelera e all’improvviso si trasforma in un numero da discoteca, ed il Duca mostra tutta la  sua decadenza: It’s not the side-effects of the cocaine – I’m thinking that it must be love”.

Alimentato a colpi di narcotici, glissando sui riferimenti obliqui a Crowley e a strane religioni, Bowie fa esplodere la sua anima di soul bianco plastificato rinnovando / reinventando il Philly Sound a velocità cinetica e con robuste iniezioni di un futuro più sperimentale in dieci minuti indimenticabili.

Schoolboy Johnny Duhamel

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